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Costantino un gentiluomo del calcio

di Adriano Verdolini

« Chini, Fasanelli e Costantino, cò Lombardo e cò D'Aquino, Volk è un mago pe' segnà!».
Così cantava l'appassionata tifoseria romanista sgranando, come in rosario, i nomi della formazione giallorossa del Campionato 1931-32. La storia che, per ragioni di metrica, accosta in ordine sparso i cinque attaccanti al mediano D'Aquino, ci è tornata subito in mente allorché, giorni addietro, abbiamo appreso della morte di Raffaele Costantino, famosa ala destra della Roma e della Nazionale negli anni trenta.
Nato a Bari nel 1907, cominciò a farsi notare quando, sedicenne, furoreggiava nella «Liberty» una società che poi, fusasi con l' «ldeale», diede origine all'attuale Bari. Come tutti i veri campioni che precocemente rivelano i connotati della classe pura, il biondo atleta barese manifestò subito tutto il talento calcistico di cui era dotato. La sua fama raggiunse anche gli ambienti della Nazionale, notoriamente non inclini ad accogliere giocatori del centro-sud, e fu così che a ventidue anni, pure se militante in serie B con il Bari, fu schierato con la Nazionale B contro la Grecia ad Atene.
Nell'estate dello stesso anno, 1929, fu aggregato al Bologna in occasione di un torneo in Sud America dal quale scaturì la sua definitiva consacrazione nel mondo del grande calcio. Le sue prestazioni, infatti, furono talmente rilevanti che la stampa di laggiù, specie quella di Buenos Aires, reputò Costantino altrettanto grande che Peucelle, l'ala destra della Nazionale argentina che godeva allora di fama internazionale. Tanto bastò perché Vittorio Pozzo, rientrato alla guida Nazionale italiana dopo le Olimpiadi del 1924, individuasse proprio in Costantino la nuova ala destra per la rinnovata squadra azzurra che, grazie anche agli innesti di altri campioni come Sallustro, Castellazzi, Bertolini, Orsi e Mihalic tentava di rigenerarsi dopo la crisi seguita alle sconfitte con Austria e Germania. Tra l'altro, l'Italia era ancora in corsa per la conquista della prima Coppa Internazionale.
Il 10 dicembre 1929 è in programma a Milano Italia-Portogallo e Costantino, primo giocatore di serie B a schierarsi con la Nazionale maggiore, è artefice di una prova maiuscola caratterizzata dalla efficacia delle sue azioni, ispiratrici di quasi tutte e sei le reti che Salustro, Mihalic e Orsi mettono a segno.
Lanciato definitivamente nell'aristocrazia della Nazionale, Costantino si ripeté brillantemente nelle partite immediatamente successive, con una nota di particolare apprezzamento in occasione del prodigioso successo (cinque a zero, con un suo gol) di Budapest, contro l'Ungheria, che valse la vittoria nella prima edizione della Coppa Internazionale. Un mese più tardi arriva a Firenze la formidabile Spagna di Zamora e l'Italia, forse ancora inebriata dal trionfo d'Ungheria, si fa «matare» per tre a due. Malgrado la disfatta, Costantino è sempre lui, pronto a sciorinare tutto il suo repertorio di classe che, nella circostanza, si tramuta nella realizzazione personale di due reti al leggendario portiere iberico.
L'esplosione del giocatore scatenò la corsa delle società più forti nel tentativo di strapparlo al Bari. Tentativo invero non facile, tenuto conto che gli sportivi baresi minacciavano una rivolta se, per caso, si fosse lasciato andare il loro idolo. Ma la Roma, con centoventimila lire più i cartellini di due giocatori di secondo piano, riuscì a portare nella Capitale l'ambito giocatore che nei piani del presidente Sacerdoti doveva servire a completare, nel modo più giusto, una squadra da scudetto. L'ingaggio di Costantino, oltre a quelli di Bodini, Masetti e Lombardo, la dicevano lunga sulle ambizioni giallorosse alla vigilia del Campionato 1930-31: era in atto il primo, vero e proprio assalto alla supremazia del Nord!
Nacque così la Roma di Testaccio, quella più celebrata, quella ancor oggi evocata in occasione di prestazioni superbe che la squadra realizza quando alla tecnica riesce ad associare tanta forza, tanto cuore e tanto amore per la maglia. In una compagine così bene assortita di gladiatori e stilisti, la presenza di Costantino, il «Reuccio di Corte barese», come ebbe a definirlo Bruno Roghi, contribuì anche ad accrescere le qualità realizzatrici di un cannoniere come Volk, ora che i traversoni da destra arrivano con puntuale precisione.
Il gioco di Costantino, infatti, semplice al massimo e privo di virtuosismi, era sempre mirato ad una estrema precisione, condotta con tocchi perfetti, così da renderlo assai redditizio. La sua praticità lo faceva apparire un altruista allorché, pur se vicino a concludere a rete, non esitava, per maggior sicurezza, a passare la palla ad un compagno di linea che, sfruttando la sorpresa della difesa awersaria, poteva agevolmente battere a colpo sicuro.
Altruismo, dunque, ma solo per convenienza se è vero, come è vero, che nei cinque anni di milizia in giallorosso siglò quarantuno reti in gare di Campionato ed una decina in quelle amichevoli contro formazioni straniere. Gli sportivi che lo ammirarono nelle sue evoluzioni al Testaccio, ne ricordano lo stile originale quando, palla al piede, si involava lungo la linea laterale con ampie falcate per, poi, effettuare dei traversoni tesi e calibrati per i suoi compagni di linea.
Scrive di lui Ezio Saini: «Faele badava a rinforzarsi atleticamente e realizzava a gradi una perfetta armonia di muscoli, di intelligenza e di stile». In questa esposizione sintetica si riassume l'immagine di Raffaele Costantino, un campione del passato la cui vita si espresse in mirabile conformità con le regole di lealtà e correttezza che appartengono allo sport. Uno sportivo gentiluomo che la grande famiglia giallorossa ricorda con un rispettoso omaggio alla memoria e segnala al più vasto mondo sportivo dei giovani, perché dal suo esempio possano scoprire i reali valori che stanno alla pase dello sport e le finalità spirituali per cui esso è nato.

Tratto da La Roma luglio/agosto 1991

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